Appunti da Amsterdam (II)

La prima settimana in terra arancione si chiude oggi e già avverto nell’aria, diluita ma non coperta dalle zaffate di marijuana dei coffeeshop di De Wallen, la depressione da rientro imminente che si insinua in quell’oasi di pace che è la Vertalershuis. Perché non mi so godere le cose? Carpe diem, hakuna matata, that the powerful play goes on, and you might contribute a verse, etc.

Delle cose belle successe finora, va segnalata l’ascesi monastica raggiunta nei primissimi giorni, grazie a cui ho macinato nei primi due giorni pagine che in condizioni normali – leggasi: a bordo della M2, direzione Assago Milanofiori Forum, con l’hotspot che salta sempre e comunque tra Cernusco sul Naviglio e Vimodrone, e con la sempre plausibile compagnia della sciura che alle 6.23 guarda monologhi di Andrea Giambruno (lei sì, che la vita la sa azzannare) – dicevo, roba che in condizioni normali avrei fatto in dieci giorni.

Altra persona che sa mordere la vita è Marek, l’inquilino con cui ho avuto il piacere di fare qualche chiacchierata in cucina. Marek è professore universitario, esperto di filosofia, storia dell’arte, architettura e cinema, con una sua pagina Wikipedia e una lista di pubblicazioni e autori tradotti di tutto rispetto. Amabile conversatore, aspirante sommelier, trasforma ogni pranzo in una mini-lezione, visto che non so nulla dei quattro domini citati e al massimo, per reggere una conversazione tra pari, gli potrei chiedere qual è il suo Pokémon preferito.

Una sera racconta di quando ha incontrato il re e la regina dei Paesi Bassi, la mattina dopo raccomanda una pescheria che vende lische a suo dire clamorose. “Mi servirebbero per una zuppa che vorrei preparare anche qui, ogni cucchiaiata ti fa saltare fino al soffitto. Certo, servono sei ore e l’odore non è particolarmente gradevole. In effetti, a casa la faccio quando mia moglie è via per lavoro. Mmm, ora che ci penso, forse non è una buona idea prepararla qui…”

Marek conosce Amsterdam come le sue tasche, consiglia musei, librerie, ristoranti, cita scrittori di ogni periodo storico e, con una gentilezza commovente, condivide sempre con gli altri commensali sia gli ingredienti che ha comprato per sé, sia i piatti che si appresta a mangiare. Un giorno mi ha sventolato sotto il naso due o tre volte un sacchetto di insalata, e mi ha invitato ad approfittarne prima che scadesse (all’insegna dell’espressione cara agli amici spagnoli: Mi rucola es tu rucola). Un’altra sera, invece, sono rincasato e non ho avuto nemmeno il tempo di aprire il frigo comune della cucina, che già lui mi aveva messo nel piatto una porzione della sua cena, un piatto unico a base di pollo, riso, salsa, spezie e una quantità abnorme di cipolle. Tutto buonissimo, ma spero che entro dicembre il sedere smetterà di bruciarmi.

(Ieri l’ho beccato a colazione: lui già carico e visibilmente desideroso di attaccare bottone, io ancora rincoglionito dalla sveglia e quasi infastidito dall’aver incontrato un’altra persona prima della moka; mi ha lasciato mangiare in silenzio, anche se era palese che stesse morendo dentro, e infatti appena ha percepito la prima crepa nella mia aura di intolleranza mattutina, si è lanciato in un “Posso disturbarti?” che mi ha fatto piegare dal ridere. Se non si è capito, gli voglio già bene.)

(Devo invece segnalare che il mio vicino di pianerottolo, purtroppo, se n’è già andato. Lo ricorderò così, con il sorriso dipinto sul volto dopo aver trovato due salvifici rotoli di carta igienica nello sgabuzzino del primo piano.)

Chiudendo con uno dei temi chiave del primo episodio, mi pare doveroso ammettere che il bistrattato yogurt di soia alla vaniglia, comprato durante la prima spesa senza nemmeno sapere bene perché, è diventato una droga assoluta. Sia messo agli atti. La rinnovata armonia con la catena Albert Heijn è stata suggellata ieri con un fotonico passaggio in filodiffusione di Calma e sangue freddo. E fu così che sul plasticume che domina gli scaffali scesero i versi del Sommo: marco a uomo tutta l’aggressività / ma non posso privarmi del nome che porto. Amen.

(Riguardatevi il video: le magliette, i jeans, lo stalking, le zoomate sulle chiappe. Tutto così sbagliato, tutto così nostalgico.)

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